Turismo, Cultura, Eventi



E’ necessario per completezza soffermarsi sulle attività strettamente antropiche (agricole, produttive, insediative ecc.) presenti nell'area al fine di caratterizzarne l'ambiente e la sua evoluzione. Partendo dall’ambito regionale, la Basilicata può essere considerata una regione prevalentemente interna con una bassa quantità di aree costiere, appena trentaquattro chilometri, e un territorio per la gran parte costituito da una dorsale montuosa che costituisce l'Appennino Lucano e da altri gruppi di montagne che caratterizzano quasi tutto il territorio regionale. La regione apparentemente può essere tipizzata con due tipi di versanti:

- quello Tirrenico, aspro e ripido

- quello Jonico che degrada dolcemente verso il mare

Anche l’idrografia è di tipo differente tra i due versanti, infatti i fiumi che sfociano nel Tirreno sono brevi e ripidi, quelli che sfociano nello Jonio sono lunghi e tortuosi. II territorio regionale è di 999.227 ha ripartiti in: 497.216 ha di superficie montana, 451.006 ha di superficie collinare e 80,305 ha di superficie pianeggiante. L'area Materana è costituita per l’80% da collina da cui I'identificazione dell'area in oggetto con area collinare che si interpone orograficamente alle valli terrazzate solcate dai fiumi. Per quanto riguarda la copertura vegetale, in questa area si assiste a mutamenti anche repentini della morfologia del paesaggio, infatti le pendici montuose sono in parte coperte da boschi per la maggior parte degradati, in parte coperte da arbusti o nude dove i fenomeni erosivi sono più accentuati, mentre i fondovalle che sono dal punto di vista della copertura vegetale quelli che hanno subito un processo di denaturalizzazione più intenso, alternano aree fortemente boscate ad aree aride. Da una analisi storica infatti si può risalire ad una progressiva riduzione del patrimonio forestale, in primo luogo già ai tempi dell'impero Romano quando la necessità di legname per le imbarcazioni, le case, le armi ecc., resero necessari cospicui prelievi, poi al Rinascimento quando i fenomeni di disboscamento furono più massicci, poiché I'eliminazione del bosco veniva vista come I'unica possibilità per accrescere le aree destinate ad uso agricolo e ad attività pastorale.

La superficie agraria della zona è caratterizzata dalla grande diffusione dell'olivo, testimonianza della presenza soprattutto dei Saraceni, oltre che dei Longobardi, dei Normanni, degli Svevi e degli Aragonesi. Per quanto riguarda l'urbanizzazione del territorio, la popolazione vive per la maggior parte in centri abitati arroccati sulla sommità delle colline e questa disposizione è sicuramente dovuta a motivi di salvaguardia per le persone dalla malaria imperversante nei fondovalle.

Gli insediamenti rurali invece sono strettamente legati al passato regime del latifondo con tipiche grandi distese coltivate a cereali e masserie isolate. L'area, quindi, nel suo complesso non costituisce una unità imprescindibile, ma è costituita da tanti piccoli microcosmi dove la fruizione delle risorse è stato I’elemento aggregante, con un progressivo spostamento Ià dove esse erano più immediatamente disponibili. Analizzando le unità paesaggistiche nelle immediate vicinanze dell’area in esame, si riconoscono:

- unità dei calanchi, caratterizzata dall'affioramento delle argille grigio azzurre configurate in una rete di fitte creste e fossi;

- unità delle colture agrarie, caratterizzata da una limitata pendenza, destinata prevalentemente a quelle colture che per loro tecniche colturali costituiscono elementi di variabilità del paesaggio nel corso delle diverse stagioni;

- unità di fondovalle, caratterizzata dai depositi alluvionali recenti ricoperti di vegetazione igrofila che determina un contrasto visivo netto e persistente con le aree circostanti.

LE RISORSE PAESAGGISTICHE, ECOLOGICHE E STORICO CULTURALI

Il territorio del Basso Sinni presenta una sua valenza specifica in tema di risorse paesaggistiche ed ecologiche. In primo luogo occorre valutarne, al riguardo, la peculiare posizione, poiché il comprensorio è posto ai margini dell’imponente sistema naturalistico del Parco del Pollino e della costa ionica metapontina. Il tratto terminale del Fiume Sinni, inoltre, con l’area della foce, il Bosco Sottano e il Bosco Soprano (lembi residui dell’imponente bosco litoraneo di Policoro) costituisce una importante risorsa naturalistica ed ecologica, tant’è che su parte di questo territorio è stata recentemente istituita una riserva regionale.

Inoltre, l’area più interna è ricompresa nel Parco Nazionale del Pollino, e consente a questa piccola comunità di puntare a uno sviluppo legato soprattutto al turismo ambientale, qualificandosi come porta di accesso al Parco nazionale. Ma è in termini di risorse storico-culturali ed archeologiche che è particolarmente ricco il Basso Sinni. Gli studi attenti ed appassionati del prof. Lorenzo Quilici, docente di Topografia Antica presso l’Università di Bologna, hanno reso coscienti le comunità locali della straordinaria ricchezza del territorio, costituita dai numerosi siti archeologici, anche ellenistici, diffusi soprattutto nelle aree interne.

Di conseguenza le popolazioni e le istituzioni hanno preso coscienza della necessità di promuovere un processo di sviluppo turistico che punti alla forte valorizzazione di questi territori.

La ricostruzione storica del Prof. Quilici evidenzia una presenza umana articolata in tutte le significative epoche storiche. La grande ricchezza ed articolazione di beni storici ed archeologici, la particolare importanza dei ritrovamenti nelle aree più interne, unita al vantaggio di posizione determinato dall’ubicazione del Basso Sinni ai margini delle aree turistiche del Metapontino e del Pollino e, quindi, di due grandi (anche se ancora in parte potenziali) poli turistici, costituiscono gli elementi di forza sui quali puntare. La mancata o insufficiente tutela e valorizzazione di questi beni degli anni scorsi, la mancanza di una cultura diffusa del restauro del territorio, del paesaggio e della bellezza e la persistente inesistenza di strumenti di collegamento ed interazione di questi beni, costituiscono gli elementi di debolezza che occorre superare.

IL CIRCOLO ARCI DI ROTONDELLA E LE RISORSE LOCALI.

Il circolo ARCI “La Tarantola” di Rotondella svolge da anni attività di valorizzazione delle tradizioni popolari, organizzando ogni estate la mostra de “I cortili aperti” nel centro storico di Rotondella. Ha anche svolto attività di ricerca per la raccolta de “I canti popolari dell’area del Basso Sinni” producendo un ipertesto multimediale ed una edizione cartacea nello scorso mese di luglio, con un finanziamento parziale proveniente dal Programma Comunitario Leader II, per lo Sviluppo Rurale.

Nel corso dell’anno ha avviato altre due iniziative di valorizzazione delle risorse locali, in collaborazione con il Liceo Scientifico “E. Fermi” di Policoro, nella stessa area del Basso Sinni: una che riguarda i siti archeologici poco conosciuti e l’altra riguardante i prodotti locali. Pensando di dover intervenire sulla realtà giovanile di Rotondella, le dirigenti del Circolo hanno presentato la proposta di coinvolgimento per tali iniziative alle alunne ed agli alunni rotondellesi iscritti al Liceo Scientifico “E. Fermi” di Policoro, che sono in numero di trenta. La loro partecipazione al Progetto costituisce una delle condizioni per l’attribuzione del credito scolastico e formativo, così come previsto dall’art.5 della Legge 10-12-1997 n.425, dall’art.11 e 12 del Regolamento del nuovo esame di stato, D.P.R. 23 luglio 1998 n.323, e dal Decreto Ministeriale del 24 febbraio 2000.

L’attività infatti è in sintonia con il Programma Operativo Nazionale della Scuola, che mette in evidenza i temi generali relativi all’ambiente, i quali vengono considerati come elementi fondamentali per le politiche di sviluppo del territorio. Perciò il Circolo ARCI “La Tarantola” di Rotondella ha inteso realizzare iniziative di valorizzazione dei siti archeologici delle aree interne, coincidenti con l’area del Basso Sinni, adottando con la locale Soprintendenza ai Beni Archeologici il testo della convenzione siglata dal Ministero dei Beni Culturali e dalle Organizzazioni Nazionali no profit.

Gli itinerari che si andranno ad individuare vengono proposti alla potenziale clientela offerta dalla base sociale dei circoli dell’ARCI di tutta Italia e da alcune associazioni no-profit straniere.

L’INDIVIDUAZIONE DEI PERCORSI DA VALORIZZARE

L’individuazione dei percorsi da valorizzare è avvenuta proprio sulla base del lavoro che Lorenzo Quilici, all’epoca studente, svolse in diverse tappe negli anni sessanta e concluse nel 1967. Lo studio, ricco di cartografie e di dettagliate descrizioni, non solo riporta centinaia di siti archeologici, ma descrive particolarmente gli itinerari usati dai popoli antichi, e soprattutto greci. Ci siamo rifatti anche alla sua recentissima “Relazione-Progetto di valorizzazione storico-turistica dei siti archeologici del Basso Sinni”. Complessivamente sono stati individuati, ai fini della Legge Regionale n.51/2000, sette assi viari di lunga percorrenza, per un totale di circa 134 chilometri, e diciannove percorsi di interesse comunale ed intercomunale, per un totale di circa 58 chilometri. Nella cartografia 1:25.000 i primi sono riportati in rosso, mentre gli altri in colore verde. In nero sono le linee dei confini comunali, mentre sono colorate in giallo le aree di interesse archeologico e storico-artistico.

Dai numerosi sopralluoghi effettuati risulta evidente che la viabilità storica si è meglio conservata nella zona interna. In alcuni tratti essa è stata resa idonea al trasporto su gomma, con la realizzazione di moderne strade interpoderali, in altri conserva ancora i resti dell’antica funzione (mulattiere, carrarecce, sentieri, ecc.).

Proprio nella zona interna inoltre la viabilità storica svolge la sua funzione di collegamento con i centri storici e le aree archeologiche dei vicini comuni calabresi. A tal proposito non ci sembra superfluo sottolineare la necessità che l’Assessore Regionale di Basilicata all’Assetto del territorio promuova una intesa con la Regione Calabria, ai sensi dell’art. 8 del DPR 24 luglio 1977 n.616, così come prevede il comma 3 dell’art. 4 della Legge Regionale n.51/2000. Dei sette assi viari di lunga percorrenza, tre sono quelli che attraversano le valli del Sinni e dell’Agri:

1. Pisticci – Tursi – Rotondella - Nocara, di oltre trenta chilometri;

2. La litoranea preistorica, di oltre quindici chilometri;

3. L’antica litoranea Jonica, Tratturo del Re, di oltre tredici chilometri.

Gli altri quattro assi viari di lunga percorrenza si svolgono invece in parallelo al letto del fiume Sinni:

4. Heraclea - Tursi, per circa ventuno chilometri;

5. Litoranea preistorica - Tursi, per oltre diciotto chilometri;

6. Tratturo Regio - San Pietro – Rotondella - San Giorgio Lucano, per oltre ventuno chilometri;

7. Cugno dei Vagni - Monte Coppolo - San Giorgio Lucano, per circa sedici

PERCORSI DI INTERESSE

I percorsi di interesse comunale ed intercomunale sono invece i seguenti.

1. San Giorgio Lucano.

1.1 Calanche (km.0.400)

1.2 Madonna del Pantano (km. 0.400)

1.3 Val Fineo (km. 0.300)


2. Valsinni

2.1 Valsinni – Monte Coppolo (km. 2.5)

2.2 Valsinni – Masseria Carbone – L’armi dei gatti – Nocara (km.6)

2.3 Valsinni – Mancosa – Rotondella (km. 5)


3. Colobraro.

3.1 Fontanianna (km.2)

3.2 Madonna della Neve (km. 0.400)


4. Tursi

4.1 Tursi – Rotondella (km.5)

4.2 Tursi – Pisticci (km.4.5)


5. Rotondella.

5.1 Canale Ruggiero – Trisaia (km.4)

5.2 Rotondella – Mortella – Anglona (km. 6.5)

5.3 Rotondella – Petto del Mulino – Tursi (km. 4)

5.4 Rotondella – Mancosa – Valsinni (km. 5)

5.5 Rotondella – Nova Siri (km. 4)


6. Nova Siri.

6.1 Nova Siri – Canna (km. 3.5)

6.2 Nova Siri – Cappella della Sulla (km.1)

6.3 Nova Siri – Serra Maiori (km.6)

6.4 Nova Siri – Rotondella (km.2.5)

 

LE “lamie” DI BITONTE

Le "lamie" risalgono al 1600. Sono archi in pietra a volta sottostante il calpestio del palazzo di proprietà della famiglia Bitonte, da cui il nome.

LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

La chiesa parrocchiale Santa Maria delle Grazie è stata costruita alla fine del 1500 ed aperta al pubblico nel 1587. Una chiesa inizialmente dalle dimensioni modeste che era costituita dalla sola navata centrale, più corta di quella attuale.

Nei primi anni del 1600 fu completata con la costruzione delle cappelle laterali, finanziata da alcune famiglie rotondellesi. Sorse per opera del Cantore Don Geronimo Stigliano, dei suoi familiari e di tutti i cittadini di Rotondella. La chiesa fu ingrandita tra il 1750 e il 1755 perché insufficiente per la popolazione; il progetto fu redatto dall’architetto Domenico Faggiani.

L’ampliamento consistette soprattutto nel portare avanti la facciata che in origine era allineata al campanile. Allora la popolazione la dotò di un organo e di un orologio situato in una piramide con cui finiva il campanile. Il campanile fu ricostruito nel 1802 nella stessa forma, ma danneggiato dal terremoto del 1857 fu privato della piramide e dell’orologio. Nella chiesa avveniva la sepoltura dei cadaveri, nel 1832 risultò insufficiente a causa delle epidemie, per questo la sepoltura fu fatta nel convento fino alla costruzione del Camposanto, avvenuta all’inizio del nostro secolo.

LA CHIESA DI SANT’ANTONIO

Il convento Francescano di S. Antonio da Padova costruito nel 1650, fu l’ultimo dei monasteri francescani in Basilicata. Sorse per volere del proprietario del feudo di Rotondella il nobile napoletano Astorgio Agnese come si può leggere nell’epigrafe sul portale. Sullo scudi si osserva lo stemma dalla famiglia Agnese, formato da due spade disposte a croce di Sant’Andrea, con la punta rivolta verso il basso.

Sullo scudo c’è anche lo stemma della famiglia Capece Piscicelli cui, apparteneva la moglie Claudia. Alla sua morte, avvenuta nel 1660 il convento non era stato ancora ultimato. A lavori ultimati vennero chiamati alla gestione del Convento otto frati francescani. S. Antonio fu scelto come protettore del paese nel 1745, in seguito la festività diventò più importante.

Il Convento fu soppresso nel 1808, come risulta da un verbale firmato dal sindaco Giuseppe Petrosino, da Fra Egidio e dal governatore Francesco Grassi. La chiesa fu utilizzata per la sepoltura dei morti. Nel 1886 i Ruderi del convento dovevano essere acquistati dal comune di Rotondella a trattativa privata per utilizzarli, dopo averli ristrutturati come sede del carcere mandamentale. Parte dei locali che erano stati utilizzati per più di mezzo secolo come sede dei reali carabinieri, vennero abbandonati nel 1935 a causa dello stato precario. Nel 1949 don Michele Tridente, allora parroco di Rotondella chiedeva la retrocessione dei locali ex–conventuali per uso casa parrocchia. I portici circondavano il chiostro, al cui centro si trovava la cisterna. Di stile barocco con pregevoli stucchi sugli altari laterali, custodisce statue lignee e quadri veramente pregevoli. Sugli stucchi oltre ad essere raffigurati gli stemmi delle famiglie Capece Piscicelli è raffigurata l’aquila bicipite perché gli Agnese vantavano una origine germanico – normanna. La chiesa è stata ristrutturata sul finire degli anni ’80. Recentemente sono stati costruiti i locali di ministero pastorali con casa Canonica, inaugurata il 12 Giugno 1990 da Monsignor Rocco Talucci.

LA TORRE DEL CARCERE

La torre del carcere è ciò che rimane della torre di avvistamento, fatta costruire nel 1518 dal principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Intorno a questo forte fu costruito il palazzo baronale dove vivevano gli ufficiali del principe e intorno al quale si raccolsero i primi abitanti attratti dalla possibilità di ottenere un pezzo di terreno da coltivare. Del palazzo costruito dal Sanseverino rimane, nella sua integrità la torre del carcere, poiché il resto della costruzione è stato abbattuto e ricostruito nei primi anni del 900. I primi abitanti furono tre ufficiali che riscuotevano le fide e diffide dei pascoli delle difese di Rotunda e Trisaia. Dal principe di Salerno passò alla famiglia Agnese del Cardinale e poi al duca di Ielsi della famiglia Carrafa. È stata sede del carcere fino a pochi anni fa, all’inizio del 1800 fu trasferito al convento.

Nel 1900 è stato carcere mandamentale, dove i detenuti scontavano le pene minori o gli ultimi mesi di detenzione. Il carcere era diviso in due parti, una destinata alle donne e un’altra per gli uomini e poi una parte per il custode. Ci sono stati detenuti appartenenti alla mafia locale, alla mafia siciliana e molti altri. L’ultimo detenuto, di Stigliano, vi è stato nel 1997. Recentemente restaurata, è ora adibita a biblioteca comunale ed archivio storico, ed è possibile ammirare dalla cima della torre uno splendido panorama, con visione a 180° della costa ionica.

PALAZZO TUCCI – COSPITO

I vari palazzi oggi esistenti furono costruiti dopo il 1770, quando a Rotondella si supera definitivamente la crisi del 1764, la produzione riprende il suo ritmo normale e la coltivazione della bambagia diventa molto redditizia. Nel 1772 fu costruito il palazzo Tucci, l’attuale palazzo Cospito, dal sacerdote don Domenico Antonio Tuccio e dal nipote, legale Francesco Antonio. Gaetano Tuccio sposò Cesarea, la figlia primogenita di Francesco Antonio Albisinni. Importante è il portale lavorato in pietra con lo stemma della famiglia.

PALAZZO IELPO

Il palazzo Ielpo, costruito agli inizi del 900, è il più recente di Rotondella. Sorge dove prima vi era la farmacia di Benedetta Laguardia, figlia dello speziale Giambattista e moglie di Francesco Antonio Albisinni. Il palazzo, oggi disabitato, appartiene agli eredi Nicola (ex direttore della Zecca di Stato a Roma) e ai nipoti, figli di Vittoria e di Nino.

PALAZZO RONDINELLI

Il Palazzo, edificato nel 1770, è in stile barocco con portali e finestre in pietra lavorata da scalpellini giunti da Rivello e da Padula. Il palazzo si compone di molte stanze disposte su due piani, in una di esse si trova la cappella di San Gaetano destinata alle cerimonie religiose. Termina con un ampio terrazzo da cui si può ammirare tutta la costa Jonica. Nicola (ex direttore della Zecca di Stato a Roma) e ai nipoti, figli di Vittoria e di Nino. Il Palazzo, costruito alla fine del XVI sec. dalla famiglia Agnesi, è tuttora agibile. Nelle prossimità vi era una torre di difesa (la cosiddetta Torre del carcere) dotata di un ponte di legno che collegava le due strutture al fine di evitare gli attacchi dei Turchi. L'angolo estremo del Palazzo è abbellito dallo stemma di famiglia: due spade disposte a croce di S.Andrea con le punte rivolte verso il basso. Il palazzo originariamente si estendeva nella parte posteriore rispetto all'attuale ingresso, il quale era anticamente l'ingresso secondario; del palazzo, oggi in abbandono quasi totale, resta il portale monumentale dell'ingresso con lo stemma della famiglia Agnesi, dei Doria e l'aquila bicipite.

PALAZZO ALBISINNI

Il Palazzo, edificato nel 1770, è in stile barocco con portali e finestre in pietra lavorata da scalpellini giunti da Rivello e da Padula. Il palazzo si compone di molte stanze disposte su due piani, in una di esse si trova la cappella di San Gaetano destinata alle cerimonie religiose. Termina con un ampio terrazzo da cui si può ammirare tutta la costa Jonica.

Nonostante il sensibile ridimensionamento determinatosi negli anni '61-'91, gli attivi nel settore delle costruzioni rappresentano ancora oggi la quota più consistente tra i diversi rami di attività, questo perché l'agricoltura continua a non avere, un ruolo considerevole. La stabilità numerica del dato sugli imprenditori e liberi professionisti nasconde sostanziali cambiamenti avvenuti nei diversi settori di attività economica. I rami di attività in espansione sono soprattutto l'industria delle costruzioni e di installazioni di impianti ed il commercio. Il tessuto industriale, caratterizzato da piccole forme, sta assumendo un carattere preponderante nell'apposito P.I.P., mentre il piccolo artigianato tipico e tradizionale non riesce ad avere la valorizzazione e gli spazi necessari per continuare ad essere attivo. Scarseggiano inoltre i servizi avanzati di consulenza e pianificazione per le imprese. Il tasso di disoccupazione della popolazione residente attiva al censimento del 1991 (fonte ISTAT - 13o censimento della popolazione), è del 26,8 %, a fronte del tasso di disoccupazione dell'area che ammonta al 27,7 %.

L'AGRICOLTURA

Il territorio agricolo è sostanzialmente diviso in due parti: quello irriguo, destinato per buona parte alle colture agricole, e quello asciutto, interessato dalle zone interne e più elevate altimetricamente. Le aree asciutte sono destinate quasi esclusivamente alla cerealicoltura e alla olivicoltura pur comprendendo le zone a vegetazione spontanea (pascoli permanenti e resti di macchia mediterranea) e le zone calanchive e boschive. Le zone irrigue e quindi spiccatamente agricole sono caratterizzate da colture diverse che rendono il paesaggio agrario vivacemente diverso. Le colture più importanti riguardano gli agrumi (arance, clementine, mandarini), albicocche e pesche-percoche. Nelle aree di alta collina e montane si trovano tre destinazioni colturali prevalenti:

-        pascoli permanenti nudi o cespugliati con arborature molto estensive;

-        formazioni boschive, da rimboschimenti recenti;

-        formazioni boschive storiche.

Le aziende agricole presentano una dimensione varia, la maggiore concentrazione si ha nell'intervallo che va dai 2 ai 5 ettari.

L'ARTIGIANATO

La realizzazione di una miriade di piccole e grandi opere pubbliche, soprattutto a partire dal 1981 e cioè conseguentemente al terremoto, nei centri storici (edilizie ed infrastrutturali), nelle campagne e nelle nuove aree industriali nel cratere, sostenute dai flussi finanziari della L. 219/81, ha funzionato come catalizzatore di energie imprenditoriali che collocandosi sul mercato hanno dato vita a piccole e qualche volta piccolissime imprese artigiane (autotrasportatori inclusi) che rischiano nell' arco dei prossimi anni di scomparire qualora non riescano a riconvertirsi verso nuove attività produttive e di servizio. Sono del tutto in via di estinzione gli artigiani tradizionali come il calzolaio, la ricamatrice, il fabbro, il marmista, etc.

PIATTI TIPICI

Frizzùli ca' middiche: pasta condita con mollica di pane oppure formaggio pecorino e sugo di carne (preferibilmente di capretto).

 

Gnommarèdde (Zanzanèdde): involtini preparati con interiora di capretto o agnello e arrostiti alla brace.

 

Testina di agnello o capretto cotta al forno.

 

Ricchitèdde, Rasc'nate, Lahanedde (abbinati ai legumi).

 

P'Pòne e Savizizzèdde: peperoni essiccati cucinati insieme alla salsiccia.

 

Pastizze: calzone ripieno di Carne preferibilmente Maiale.

 

Falahone: calzone ripieno di patate tagliate a fette con peperoni e cipolla oppure con purè di patate con pezzetti di salsiccia o ancora con verdura di bietole e spinaci.

 

Fàhule: calzone ripieno di ricotta con pezzetti di salsiccia preferibilmente fresca.

 

Sfignatte, Mufflètte (Riconducibile alla pizza).

13 GIUGNO

Festa di S. Antonio da Padova, Patrono di Rotondella

 

17 GENNAIO

Festa di S. Antonio Abate (falò in Piazza Albisinni)

 

SAGRA DELLE ALBICOCCHE

(Fine giugno/inizio luglio)

 

ESTATE ROTONDELLESE

(dal 20 luglio al 20 agosto)