ROTONDELLA: Presentazione e Storia

Rotondella è un caratteristico comune della provincia di Matera. Il territorio confina a nord con il comune di Tursi, ad est con il comune di Policoro, a sud con il comune di Nova Siri, mentre ad ovest con i territori di Valsinni e Colobraro. L'abitato ha origini molto antiche. Infatti, Rotondella viene citato già nel 1261 col nome di Rotunda Marinis, termine derivato, probabilmente, dalla sua particolare forma circolare e dalla posizione di fronte al mar Jonio. Molto bella è la chiesa madre dedicata a Santa Maria delle Grazie, nel cui interno sono custodite le statue lignee dell'Immacolata, della Madonna delle Grazie e di Sant'Antonio, e la chiesa di Sant'Antonio da Padova, appartenente al convento francescano degli Zoccolanti. La chiesa ed il convento, edificati nel 1652, furono abitati dai monaci fino al 1862 quando, con la legge Siccardi, divennero proprietà dello stato. La costruzione conserva un bellissimo altare in marmo policromo e alcune statue raffiguranti San Francesco d'Assisi, San Pasquale Bairo e Santa Rosa da Lima.



Definita il balcone dello Jonio per la sua felice posizione, era nota nell'antichità come Rutunda Maris. Al periodo Neolitico risalgono alcuni reperti archeologici venuti alla luce in una operazione di scavo sulla sommità di Piano Sollazzo mentre è documentata la presenza, sul territorio dell'attuale Rotondella, di complessi villaggi che rientravano nella sfera di influenza di Siris, e successivamente di Heraclea. E' certa l'esistenza del villaggio di Trisaia (al centro della piana omonima) sino alla fine del XIV secolo ed in epoca anteriore del Monastero Basiliano di Santa Maria delle Lauree. Nel XVI secolo, nei pianori di Trisaia, si svilupparono i villaggi di Santa Laura e Santa Lucia, andati successivamente distrutti. Allo stesso periodo risale la presenza di una folta comunità albanese che si era trasferita in questa zona da Farneta, un piccolo borgo attiguo ad Oriolo, nel Cosentino.

Attualmente nella stessa area si sta sviluppando il nuovo abitato di "Rotondella Due" con le attigue aree artigianali e commerciali. L'attuale centro urbano porta sedimentati vari momenti di crescita e si è sviluppato attorno ad un nucleo originario (palazzo baronale e Torre) edificato tra il 1515 ed il 1520. Un punto eccezionale di osservazione in epoca romana e tardo medievale; un luogo sicuro dal quale era possibile difendersi dalla malaria, dalle incursioni turche successivamente.

Il Comune di Rotondella è situato nella parte meridionale della Lucania prospiciente il Mare Ionio, in un territorio a nord morfologicamente caratterizzato da pianure discendenti a gradonate verso la costa, intersecate da ampi letti torrentizi che giungono direttamente al mare, e a sud-ovest dallo sviluppo di catene montuose. Si trova in posizione quasi centrale rispetto ai limiti storico-geografici del vasto territorio della Siritide, ovvero quello dominato dall'antica Siri-Eraclea.

Fin dal VII sec. a.C., le fonti storiche scritte a noi conosciute riguardanti la geografia calabro-lucana citano gli insediamenti abitativi della regione solamente con indicazioni approssimative. A partire dall'anno 1000, però, una notevole documentazione archivistica è in grado di fornire importanti testimonianze per la ricostruzione topografica e storica della regione. Nonostante ciò, la letteratura seguente dimostra ancora la scarsa attenzione degli umanisti per questa regione, e la inesattezza delle loro indicazioni cartografiche è l'indice evidente della mancanza di una diretta conoscenza del territorio.

E' solo con lo sviluppo dei grandi studi geografici del Seicento e del Settecento che, finalmente, si potrà avere a disposizione una ricca cartografia di notevole precisione. Le ricerche archeologiche hanno permesso di integrare la precedente cartografia con l'esatta individuazione degli insediamenti più antichi, dei quali si era persa traccia con il passare dei secoli.

Siris era un'antica città della Magna Grecia, in Lucania, nata sulla foce del fiume Sinni, al confine tra il comune di Policoro e quello di Rotondella. Siris ebbe un territorio ricco e fertile, la Siritide, sul quale si stanziarono dapprima esuli troiani intorno al XII secolo a.C. e poi coloni provenienti da Colofone, città della Ionia (costa centro-occidentale dell'attuale Turchia), nel 680 a.C. circa. La città era ubicata nei pressi della foce del fiume Siris, l'attuale Sinni. La floridezza e la ricchezza della colonia, acquisite nel corso dei decenni, suscitarono l'invidia, ma soprattutto la preoccupazione delle vicine città achee di Metapontum (attuale Metaponto), Sybaris (attuale Sibari) e Kroton (attuale Crotone) che vedevano espandersi il potere economico di una colonia ionia.

Alleatesi, le tre città invasero la Siritide e sconfissero intorno al 580-575 a.C. Siris che decadde, continuando la sua esistenza sotto l'influenza di Sibari e Metaponto. Molti esuli si rifugiarono probabilmente sulla vicina altura di Pandosia (attuale Anglona) e sulle alture delle attuali Montalbano Jonico e Tursi. Un secolo e mezzo dopo la città divenne colonia congiunta di tarantini e thurioti, con il nome Heraclea.

Una particolarità dell'area è costituita dal Monte Coppolo (dal toponimo calabrese "Koppula", berretto). Prima della confluenza col Sarmento il Sinni si stringe fino a 33 metri dì larghezza all'interno di una forra dominata da un lato da Colobraro e dall'altra dal Monte Coppolo (890 metri). Quest'ultimo è un massiccio dirupato e strapiombante facilmente accessibile solo sul lato della sella della Palombaia (attraverso la quale passava l'antica strada di penetrazione lungo la valle del Sinni).

Tutto il monte è circondato dalle mura di fortificazione che racchiudono un'acropoli attribuibile al IV secolo, nella quale le testimonianze antiche vogliono vedere la città di Lagaria (fondata secondo la leggenda da Epeo, costruttore del cavallo di legno) una delle fortezze corrispondenti al periodo in cui la Grecia costruì molte città trincerate formanti sistemi regionali di difesa nei confronti dei Bruzi e dei Lucani. Lagaria, di cui parla Strabone, era una fortezza collocata tra Turi e il Sinni, famosa per i suoi vini medicinali. La conferma viene da Plinio il Vecchio, che sostiene tali vini essere un prodotto della campagna non lontana da Grumento. Il riconoscimento di Lagaria nell'acropoli del M. Coppolo corrisponde alle descrizioni, e pone la città all'imbocco di uno dei più antichi valichi del versante ionico del Pollino, in posizione strategica tra le pianure del golfo di Taranto e l'interno appenninico aperto al Tirreno in una fase anteriore alla colonizzazione greca dello Ionio. La città fu fortificata per la pressione lucana, e cadde sotto l'egemonia romana solamente dopo la caduta di Taranto.

Come dice il nome del monte, che allude alla sua massima altezza, 890 m s.l.m., esso è il più rilevato di questo versante dei rilievi ed arduamente accessibile, essendo cinto da strapiombi su tutti i lati, ad eccezione per dove, sul lato sud-est, una sella lo collega alle dorsali interne, permettendo da qui una più facile ascesa. Proprio sulla sommità del monte fu costruita nel IV secolo a.C. una potente cerchia di mura megalitiche, che con un perimetro di oltre due chilometri difendeva l’abitato al suo interno, mentre proprio sulla vetta l’ultima difesa dell’acropoli era data da un anello fortificato di 350 m di perimetro. Le mura, in scaglioni naturali di monte, calcarei, poligonali o più o meno parallelepipedi, si conservano oggi fino a un’altezza massima di 3 m e sono spesse, a seconda dei tratti, da 1,1-1,95 a 2,3-2,4 m.

Sul versante dove l’accesso è più facile, le fortificazioni scendono inglobando un balza più avanzata a promontorio e sono ulteriormente difese da un fossato. Qui sono i resti di una porta a corridoio, la Porta di Ferro come la chiama la tradizione popolare, larga 3 m, e la difesa era aumentata da una torre avanzata, semicircolare, di 5,4 m di diametro, costruita questa in facciata con blocchi parallelepipedi ben lavorati a squadro. L’acropoli presenta due porte, poste tra loro in posizione diametralmente opposta rispetto al circuito ed entrambe aperte entro l’ambito urbano, larghe 1,45 e forse 3 m. Un assai incongruo restauro praticato dalla Soprintendenza Archeologica a tutto il versante sud est delle mura, ha completamente falsato l’aspetto della fortificazione, eretta nella nuova versione a maceria ricavata non poco dalla frantumazione degli antichi blocchi, senza distinzione dalle parti originarie e con l’apertura di una porta più orientale, inesistente in origine.

Le tracce di due templi sono all’interno della rocca, uno sulla sommità, uno verso il limite settentrionale delle mura. Un grande terrazzamento in opera poligonale regolarizza un piano urbano sull’alta mezzacosta del versante sud est del declivio; un lacus, cioè un bacino di raccolta dell’acqua piovana, alimentato anche da una sorgiva, si trova sul versante occidentale, centrale al monte. Quanto si vede della città appartiene essenzialmente all’età lucana, del IV-III secolo a.C. All’interno dell’abitato è stato però riconosciuto materiale ceramico che va dal IX secolo a.C. all’età imperiale romana, per cui l’arco di vita dell’insediamento è stato assai più lungo di quanto normalmente si riscontra.

E’ stato proposto di identificare questa città, così potentemente fortificata in area sirita, nell’antica Lagaria. Il mito vuole la fortezza di Lagaria fondata da Epeo, il costruttore del cavallo di Troia, che qui avrebbe consacrato, in un tempio dedicato ad Atena Eilenia, gli strumenti di lavoro con i quali aveva eretto il celebre cavallo di legno, con i quali i Greci erano riusciti con l’inganno a entrare nella città nemica. Epeo aveva dedicato nel tempio, è stato notato dagli studiosi, le asce, che sono proprio il simbolo religioso del potere nella civiltà minoico-micenea; mentre l’epiteto di Eilenia dato ad Atena identifica la divinità con Eileithye, la Grande Madre proprio venerata nell’Isola di Creta, ovverosia la Gran Madre propria della Troade, Cibele.

La città, famosa per i suoi vini, è ricordata per questo ancora in età imperiale romana. L’area è stata vincolata dalla Soprintendenza Archeologica per la Basilicata in base alla legge 1089 del 1939. Monte Coppolo è oggi accessibile per una strada asfaltata proveniente da Valsinni e da Rotondella, che passa sulla sella sud-orientale del monte. Da qui uno stradello pedonale è stato di recente sistemato per raggiungere la sommità del monte e una recinzione in legno aiuta a orientarsi tra una vegetazione infestante che altrimenti renderebbe assai difficile l’accesso e l’orientamento.

Per la visibilità e la valorizzazione del sito, molto si può fare con un’attenta opera di disboscamento, semplici interventi di consolidamento e pulizia delle mura, l’apertura di nuovi sentieri, la messa in opera di una cartellonistica esplicativa.

Le testimonianze preistoriche di frequentazione umana vicino le valli del Fiume Sinni iniziano a datare già dal Paleolitico Superiore (VIII-VII millennio a.C.). Sappiamo che, successivamente, quando le pianure costiere lentamente emergevano dagli immensi acquitrini ai piedi dei boschi lussureggianti che ricoprivano le pendici dei monti, l'uomo aveva già costituito sul territorio i primi stabili insediamenti. Uno dei maggiori assi viari preistorici è stato quello che collegava la zona del Materano con la Calabria percorrendo le dorsali montuose. Questa penetrazione della regione, fin dalla più alta antichità, fu il risultato del confluire di tre diverse correnti di civiltà migratorie: quelle provenienti a nord dalle pianure pugliesi, ad ovest dalle grandi vie fluviali e ad est dalle vie commerciali marittime.

Alla fine del II millennio a.C. dobbiamo riconoscere come preminente al centro della regione la città di Pandosia (l'odierna S. Maria d'Anglona), capitale dei Chaoni, fulcro dei traffici correnti fra l'Apulia e il Bruzio e punto di riferimento dei commerci marittimi del mondo miceneo. La stessa mitologia greca, localizzando in questa zona molti episodi delle complicate vicende divine ed eroiche, conferma implicitamente le secolari tradizioni storiche della regione. Fra le altre, pure le diffuse testimonianze del culto delle acque continuate anche durante l'età romana attestano la grande importanza dello sfruttamento delle numerose confluenze fluviali come vie privilegiate di comunicazione con la costa e le popolazioni che potevano giungere attraverso il mare.

Circa un cinquantennio dopo la grande colonizzazione greca achea di Sibari e Metaponto, da elementi ionici ed eolici d'Asia presso la foce dell'omonimo fiume viene fondato il nuovo insediamento di Siri. A differenza delle vicine colonie nate da migrazioni in massa di popolazioni povere e retrograde, il nucleo della nuova città è un'aristocrazia venuta a garantirsi una vita migliore con una nuova proprietà terriera. L'opulenza e il lusso dei Siriti divennero presto celebri ed il suo porto fluviale garantiva un sicuro accesso alle navi lungo queste coste prive di ancoraggi, al centro di un'immensa e fertilissima pianura. Questo stesso sviluppo fu la causa della fine della città, a causa dell'inevitabile urto con le vicine Metaponto e Sibari per la concorrenza commerciale. La coalizione delle vicine città achee determinò la distruzione di Siri tra il 535 e il 530 a.C.

Nel contesto delle mutate condizioni storiche, verso il 433 a.C., ad opera di Taranto e Thourioi avvenne la fondazione di Eraclea, poco più all'interno della vecchia Siri, che ne veniva a costituire lo scalo marittimo. Il nuovo stanziamento, comunque, si insediò su di un precedente centro abitato risalente almeno al VII sec. a. C. La nuova città, anche nei periodi di maggiore sviluppo, fu e rimase un grosso paese di provincia, soddisfatto della sua solida economia agricola, che ben s'inseriva nella fitta ed ininterrotta rete di villaggi che, appoggiandosi alla Litoranea Ionica definitivamente emersa dalle paludi costiere, con l'amplissima zona pianeggiante collegava laboriosamente le falde montane al mare.

Con il tempo, però, l'incessante pressione delle popolazioni lucane portarono al lento processo di integrazione dei diversi gruppi etnici e ad una maturità economico-sociale notevolmente evoluta. Nel 317 a.C., dopo una lunga offensiva, i Romani presero possesso della regione. Nello stesso periodo, vennero fortificati i siti strategici dell'antico percorso preistorico attraverso le dorsali montuose. Benché impervio e selvaggio, questo cammino era ancora il più sicuro: per tale motivo è stato sfruttato nei secoli e i suoi punti più alti sono stati utilizzati per l'impianto di postazioni di vedetta e di difesa documentati in età ellenistica, medioevale e normanna, fino all'età moderna. Accettata più tardi la cittadinanza romana, Eraclea e le altre città del territorio condussero nei secoli una vita prospera e tranquilla: finché, subentrati i latifondi ai piccoli possedimenti fondiari, il successivo abbandono delle campagne determinò il decadimento dei centri abitati dalla conduzione essenzialmente agricola. A partire dalla tarda età imperiale, soprattutto a causa delle invasioni barbariche la regione cadde nel più completo abbandono, accompagnato dall'impaludamento dei fiumi, dall'estendersi degli acquitrini e dei pascoli e dalla spaventosa avanzata della malaria. La dominazione longobarda portò ad un riassetto militare della zona ed alla conseguente fortificazione dei diversi siti strategici (VI sec. d.C.). L'iniziale penetrazione bizantina non condusse ad un sostanziale mutamento delle condizioni di vita, nonostante la più consistente presenza religiosa di carattere cristiano-orientale.

ANGLONA

La progressiva netta affermazione della presenza dei Bizantini nei paesi dell'antica Lucania portò alla formazione di numerose chiese vescovili e coincise con una discreta ripresa economica e con l'espansione di comunità monastiche di rito greco e Benedettine. Sorsero così vari monasteri (ad es.: Sant'Elia, Sant'Anastasio in Carbone, Santa Maria del Saggittario dei monaci Cistercensi) che divennero punti di riferimento e di promozione sociale e spirituale, incrementando anche le opere di bonifica e di coltura dei territori compresi fra la piana Metapontina e la Valle del Sinni.

Alla fine del IX secolo, la paura per le violente incursioni dei Saraceni portò ad un radicale rinnovamento del Meridione, coll'avvento dall'esterno di eserciti e coalizioni fino a quel momento ritenute impossibili. Fra il IX ed il X secolo le terre della Valle del Sinni vennero spopolate da una serie di eventi luttuosi quali guerre, carestie ed ancor più la peste, per tornare ad essere nuovamente abitate dalle genti greche dalle quali ebbero origine molti comuni della Basilicata. Intanto, col decadere di Eraclea, l'antica Pandosia probabilmente era ridiventata il centro più eminente della zona e, con alterne vicende ed il nuovo nome di Anglona, continuò a dominare l'intero territorio anche in epoca normanna (XI-XII sec.).

ROTUNDA MARIS

Le tradizioni locali, gli studi storici e le varie ricerche sul terreno documentano un ricco complesso di notizie, dal quale risulta evidente che l'odierno Comune di Rotondella si è sviluppato nel tempo secondo scelte precise, motivate dalla felice posizione dell'altura e dei terreni sottostanti dislocati in prossimità del tratto terminale del Fiume Sinni e della linea di costa. I ritrovamenti archeologici attestano che tutto il territorio fin dall'antichità è stato interessato da una notevole frequentazione umana ed abitato per lo meno dalla Media Età del Bronzo (1500 a.C. ca.). Tutte le preesistenze archeologiche concorrono a dimostrare che il territorio dell'odierna Rotondella fu frequentato ed abitato fin dalla più remota antichità, proprio a causa della sua felice posizione geografica, che lo inseriva nella zona di confluenza fra la litoranea, i percorsi che scendevano da retroterra ed i punti di approdo sul mare, naturalmente utilizzando come agente veicolante di penetrazione il percorso dei corsi d'acqua, in primis il Fiume Sinni.

Quasi certamente a motivo della sua posizione privilegiata che domina la vallata del Sinni dall'alto delle propaggini del Timpone del Caprio (576 m) e permette di spaziare con lo sguardo fino al mare, e forse anche a causa della forma circolare del primo insediamento, Rotondella era denominata in antico con il toponimo di Rotunda Maris. Ancora oggi il paese si presenta visivamente come una vera rotonda, poiché l'assetto urbanistico del centro abitato segue l'andamento rotondeggiante del colle secondo le curve di livello, disegnando la viabilità in forma di una spirale che partendo dalla cima si snoda lungo le pendici. Ma, per quanto la regione fosse variamente abitata già dai tempi più antichi, la documentazione conservata e l'assenza di tradizioni leggendarie di notevole vetustà attestano senza dubbio che fino al Cinquecento il luogo dove sorge il paese dovette essere relativamente poco popolato, adempiendo unicamente alla funzione di centro di vedetta per la difesa del territorio circostante, proprio a motivo dell'alta e felice posizione panoramica. Nella citata documentazione archivistica, il nome Rotunda Maris compare già nel registro dei Baroni compilato fra il 1154 e il 1168.

Nel vicino feudo di Trisaia la sicura presenza dei monaci basiliani era attestata dalle Chiese di S. Pietro, S. Andrea Apostolo e S. Maria delle Lauree. In un documento del 1193 sono citate le Chiese di S. Andrea Apostolo e S.Sophia. Nel 1197 vennero donati al Monastero di S. Elia la Chiesa di S. Andrea Apostolo e ed i diritti di pascolo, di legnatico e di uso delle acque nel territorio di Rotunda Maris. Nel 1221, durante una sua visita nelle regioni meridionali, l'Imperatore Federico II incontrò anche Roberto, Vescovo di Anglona e Palumbo, Abate del Monastero Cisterciense di S. Maria del Sagittario, e gli riconobbe beni e privilegi in Rotunda Maris e Trisaia.

IL MONASTERO DI S. MARIA DEL LAURO

Nel 1231, Federico II riconobbe alla Chiesa Cattedrale di Anglona il possesso del Monastero di S. Maria del Lauro "sita in tenimento Rotundae Maris". Dieci anni più tardi, invece, in un diploma datato 14 febbraio 1241, l'Imperatore chiudeva definitivamente la questione decretando che la Chiesa di S. Maria del Lauro, sempre definita come "sita in Tenimento Rotundae Maris", rientrava nei possedimenti del Monastero del Sagittario e veniva citato anche un presbitero di nome "Ricardus de Rotundis, Anglonensis canonicus", evidentemente nativo dell'antica Rotondella.Durante il periodo angioino (1266-1442), dal susseguirsi dei passaggi di proprietà e le conseguenti nuove tassazioni - nei resoconti delle quali si risale all'entità dei nuclei familiari (detti "fuochi") -, si rileva in questo e negli altri feudi della Basilicata un graduale abbandono di ampi territori. Nel 1269, Rotunda Maris ed Intrisagia (Trisaia) fu tra i feudi concessi a Riccardo di Chiaromonte, il quale dai contratti di fitto e dalle modeste attività agricole dei coloni ritraeva un profitto di relativa entità.

Lo stesso Riccardo, più tardi, assegnò a Raone Grifo ed a Rogerello di Manerio il Feudo di Intrisagia. Nel 1280, il Re Carlo d'Angiò impose un tributo per l'ampliamento del Castello di Melfi: maggiore per l'Oppidum Rotunda Maris e molto inferiore per Trisaia. Nel 1282, assieme agli abitanti di altri centri abitati, quelli di Rotunda Maris e di Trisaia risultavano tenuti a contribuire al mantenimento del Castello di Policoro. Nel 1291, in un diploma di Roberto Cistercense, Vescovo di Anglona, a favore della Chiesa Cattedrale di quella città, viene citata la "Ecclesia Sanctae Mariae de Lauro, sita in Tenimento Rotunda Maris".

Il centro di Rotunda Maris compare nei Cedolari delle tasse angioine del 1276-77, 1306 e 1320, ma non più in quelli datati 1415. Dal confronto con altri siti citati in quella documentazione, nel Trecento il numero degli abitanti del territorio di Rotunda Maris doveva essere sufficientemente rilevante. Quasi certamente, il vero e proprio nucleo del preesistente villaggio perì nel periodo intercorso fra gli ultimi due rilevamenti a causa della crisi economica e demografica, della peste del 1348 e delle non facili condizioni che la vita imponeva a chi si ostinasse ad abitare una zona collinare assolutamente priva di acque sorgive.Nel 1369, Anglona venne distrutta da un incendio appiccato da soldatesche e Venceslao Sanseverino, Conte di Tricarico e Chiaromonte, riconfermò al Monastero del Sagittario gli antichi beni e privilegi in Rotunda Maris e Trisaia.

ROTUNDA MARIS E LA FAMIGLIA SANSEVERINO

Negli anni 1406 e 1412 il Monastero del Sagittario ebbe nuovamente confermati i propri possedimenti, compresa Rotunda Maris. Nella prima metà del Quattrocento, la Difesa di Rotunda Maris rientrava nei possedimenti della Famiglia Del Balzo-Orsini: ma, secondo alcuni, già nel 1431 la Regina Giovanna II la fece restituire alla Famiglia Sanseverino. L'abbandono proseguì nel periodo aragonese (1442-1504): durante il quale, nella numerazione focatica del 1443, non si ha menzione del borgo di Rotunda Maris, Intrisaglia (Trisaia) e di altri centri minori ubicati nella Valle del Sinni. In quel periodo, - mentre nel dialetto corrente era detto Ritunna e Ritunnari i suoi abitanti, - il centro abitato era già citato nei documenti ufficiali con l'appellativo di Rotundula, piccola Rotunda (dal quale derivò il moderno Rotondella), per distinguerlo da un altro più grande dall'omonimo nome. Nel 1463, il Feudo di Rotundellae fu concesso da Ferdinando I d'Aragona a Giovanna Sanseverino e ai suoi discendenti. Così che, all'inizio del Cinquecento, degli antichi abitati di Rotunda Maris e Trisaia non rimaneva poco più che il nome. A quel tempo la Difesa di Rotondella era in possesso del Conte Antonio De Guevara di Potenza, che ne subiva la relativa tassazione.

Circa l'anno 1506, Roberto Sanseverino fu reintegrato nel possesso di tutte le sue terre e quindi riottenne anche la proprietà dei feudi di "Trisaya, Caramola e Rotunna". Poco più tardi, per volere del Principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, a difesa dell'ampio territorio si costruì sulla collina un edificio fortificato, un castrum o fortellitium, come viene denominato nelle prime carte fiscali. (Di questo fortificazione oggi rimane solo la cosiddetta torre del carcere, in quanto il resto dell'originaria costruzione è stato col tempo abbattuto e ricostruito nuovamente nei primi anni del Novecento.) Infatti, anche in un atto pubblico datato 21 marzo 1515 riguardante l'istituzione di un sistema fortificato nel territorio di Bollita (odierna Nuova Siri), Rotunda è citata espressamente come una Difesa. La storia della effettiva riedificazione di Rotunda Maris vede il suo inizio ufficiale nel 1518, come testimoniano un documento di don Francesco Antonio Stigliano ed il libro Della Calabria illustrata del monaco Fiore. E' interessante notare che mentre il Barrio usa l'appellativo di Rotundula vicus, quasi a sottolineare la nuova pacifica identità urbanistica (De antiquitate et situ Calabriae, V, 1a ed. 1571), più tardi Marcantonio Morra cita il paese ancora come Castrum Rotundellae, quindi essenzialmente come luogo fortificato o castello (Familiae nobilissimae de Morra historia, ed. 1629), benchè a quel tempo l'economia locale fosse basata essenzialmente sull'attività della pastorizia, legata al movimento annuale della transumanza. I censimenti fuocatici conosciuti nei quali è presente Rotondella ricominciarono nel 1524 (dove è citata come "Rotunda noviter reperta"), per proseguire nel 1532, 1536, 1545, 1561, 1595, 1648, 1669, 1732. Nel 1538 Rotunda - costituita dal castrum e da un nucleo di case - fu venduta per cinquemila ducati al nobile napoletano Astorgio Agnese, il quale si adoperò subito a promuovere la sua crescita favorendo attorno a questo fortilizio l'insediamento di altri abitanti, attirati dalla speranza di una vita migliore mediante le concessioni per ottenere del terreno godendo di facilitazioni, per costruire o estrarre materiale, e di anticipi sulle sementi. Il nuovo paese, costituito dal palazzo baronale edificato probabilmente fra il 1510 e il 1520 sul castrum (dove oggi ha sede la Banca Popolare del Materano) e da un insieme di casette vicino alla piccola Chiesa della Concezione e lungo la Via Umberto e la Via della Concezione, crebbe tanto da suscitare l'interesse del fisco.

ROTONDELLA E L'ASSEDIO DEI TURCHI

Poiché, però, risultò evidente che non era applicabile la legge secondo la quale si doveva domandare la regia autorizzazione per popolare feudi disabitati, la Famiglia Agnese potè conservare legittimamente la terra, che però dovette essere sottoposta al conteggio dei focolari e alla relativa tassazione. Anche i due feudi rustici di Caramola e di Trisaia dipendenti da Rotondella, poi riuniti in un unico feudo, ricominciano ad essere abitati: il villaggio di S. Lucia sorse sulle rovine di Trisaia, quello di S. Laura sorse sulle rovine del vecchio monastero basiliano e la Masseria di S. Sofia si installò attorno all'antica omonima Cappella. Nel 1555, il feudo di Trisaia e Caramola fu concesso come Difesa da Filippo II ad Andrea Doria, dopo essere stato sequestrato a Ferrante Sanseverino. Nel 1572, il Principe Doria lo vendette ad un certo Gaelazzo Pinelli, ma fu poi riacquistato ad un'asta fiscale da Donna Zenobia Doria. Intanto, nel 1556 o 1558, Rotondella aveva anche subito per dieci giorni l'assedio dei Turchi, fino a quando non fu liberata dall'intervento delle galere veneziane.
Nonostante le rinnovate condizioni di vita, ancora nel 1568 comunque nella regione non si registravano veri e propri centri abitati, ma piuttosto insediamenti fortificati più o meno consistenti. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento il numero degli abitanti di Rotondella finalmente diventò soddisfacente. Per questo motivo, nel 1580 venne innalzata la nuova Chiesa Parrocchiale di S. Maria delle Grazie (allora di dimensioni ridotte rispetto alla forma attuale), che fu aperta al culto nel 1587. E' significativo per la storia degli insediamenti del territorio che, in un istrumento datato 28 settembre 1581, sia notato che la grancia (grande masseria) di Santa Sofia nel territorio di Rotondella versava una piccola rendita al Monastero di Carbone. Il paese era infatti cresciuto, nonostante la grave crisi agraria che aveva colpito il Regno di Napoli dal 1590 in poi; ciò lo si può evincere dalle stime ufficiali dei fuochi, che risultano però sempre sottostimate a causa della scarsa estensione del territorio di Rotondella.

Verso la fine del secolo, i Turchi invasero nuovamente la regione, compresa Rotondella, e portarono via circa duecento prigionieri dei quali non si ebbero più notizie. L'Università (o "Comune") di Rotondella nacque nel 1604 e giuridicamente diventò proprietaria dell'area dell'antica Difesa, benché i Baroni Agnese potessero continuare ad esigere dei crediti su tale loro vecchio possedimento. Un cospicuo incremento della popolazione avvenne ai primi del Seicento, quando gli abitanti di Bollita si trasferiscono in massa a Rotondella dove non vi era più malaria, e continuò nonostante i periodi di crisi del 1635-41 e del 1657-58. Intanto, benché stesse diventando fonte di non pochi redditi, nel 1628 Astorgio Agnese vendette il territorio di Rotondella ad Eligio Carafa. Al 1642 risale l'inizio della costruzione del Casale di S. Maria del Lauro, che sembra in origine essere stata destinata alle persone di origine albanese: fino a quando, col crescere della popolazione, negli abitanti di Rotondella non crebbe il bisogno di terre da coltivare, soprattutto a cotone. Appare invece improbabile il trasferimento altrove di quanti abitavano il Casale - più tardi comunemente chiamato S. Laura a Rotondella -, che venne infatti abbandonato perché la popolazione albanese aveva trovato grandi difficoltà ad ambientarsi in quei luoghi dove la gente si mostrava ostile e la malaria dai luoghi più bassi tendeva a risalire verso il Casale. Per mantenere un voto, un altro Astorgio Agnese - persona di insigne pietà che contribuì a fondare il Monte della Misericordia di Napoli, soccorse le popolazioni delle due Calabrie in occasione del terremoto del 1638 e si adoperò affinché a Napoli fosse istituito il Ritiro di S. Nicola per le fanciulle indigenti - a Rotondella, sul luogo di una preesistente Cappella di S. Carlo, fece erigere il Monastero francescano dedicato a S. Antonio da Padova: la cui costruzione, iniziata nel 1650, terminò nel 1661.

IL PICCOLO STATO DEL CALA’

E' sua opera l'attuale Palazzo Rondinelli con ingresso da Via Roma, sul cui portale ancora oggi è lo stemma della Famiglia Agnese, del tutto simile a quello presente nella chiesa del Convento dove è riportato insieme allo stemma della Famiglia Piscitelli, alla quale apparteneva la moglie Claudia. Astorgio e Claudia, però, dimorando stabilmente a Napoli, abitarono poco il palazzo che avevano fatto costruire in Rotondella, pur adoperandosi molto in attività civili e religiose a favore del paese. Nel 1661 o 1663 Giovambattista Carafa, Duca di Jerzi, vende il Feudo di Rotondella (ricevuto in eredità dal padre nel 1638) al Barone Don Girolamo Calà dei Lanzina y Ulloa, che si costruì una specie di stato unendo i feudi di Favara, Nocara e Roseto e mantenne un atteggiamento oppressivo riguardo tutti i suoi possedimenti: tanto da far ipotizzare che, nella seconda metà del Seicento, molti cittadini abbandonassero Nocata e Bollita per sfuggire alla sua tirannia che li aveva privati di privilegi precedentemente avuti in concessione.

Questa proprietà fu riconfermata con atto del 22 febbraio 1680. Il centro amministrativo del piccolo stato del Calà era Rotondella, i cui abitanti, forti dell'orgoglio di questo primato, tollerarono con maggior pazienza l'aggressione: anche per il bene che ne veniva, non tanto alla massa del popolo, quanto ai pochi elementi intraprendenti più o meno agiati. Anche ai rotondellesi, però, furono imposte le norme dell'oltreuso e l'extraterritorio, che imponeva una doppia prestazione: il colono spendeva la fatica sua e dei suoi familiari per avere il profitto solo di metà del terraggio, sul quale poi pesava anche ciò che doveva pagare per il pascolo dei buoi aratori.

Già dalla prima metà del Seicento, per volontà dei Doria, nuove attività erano state intraprese da coloro che abitavano il Casale di S. Laura, ai quali andava il merito di aver dissodato i terreni limitrofi e di aver messo a colture le terre. Dal 1680 la popolazione cominciò a crescere in numero considerevole e l'aumento è documentato dal numero dei battesimi: si passa dai 32,5 del periodo 1680-85 ai 49 del 1705-14, ai 53,3 del 1715-24, ai 78 del 1725-29, fino ai 97,4 del 1728-48. Al crescere della popolazione si accompagnò l'ampliarsi dei confini del paese: "se da un lato non va oltre S. Rocco, dall'altro, sulla via del Sannale, si avvia a raggiungere il Convento e la contrada detta Ciascone (non Piscone) e, verso il basso, il Purgatorio" (Montesano 1997, p. 82).

Comunque, ormai il territorio di Rotondella non bastava più ad una popolazione il cui mezzo di sostentamento erano l'agricoltura ed una piccola industria familiare del cotone: si cercò, per questo, di seminare al di fuori del proprio territorio e si "conquistarono" terre in Trisaia, Policoro e Bollita, alle cui fonti si poteva anche attingere acqua. Rotondella è infatti priva di acque sorgive. L'unico pozzo, ai piedi della collina, è quello di Mercurio, che offriva acqua buona soltanto in alcuni periodi dell'anno. Sul finire del secolo, la Baronessa di Santa Laura (appartenente alla Famiglia Doria), considerato il promettente florido sviluppo delle terre di Trisaia e Caramola, pensò di formare ivi un nuovo centro abitato ("Casalnuovo" o "Casale Nuovo") facendo scendere a valle gli abitanti di Rotondella. Ma, gli stessi abitanti di Trisaia preferirono salire a Rotondella e l'iniziativa non andò a buon fine. Anche nel Settecento sul territorio prevalse l'attività agricola, derivata dal possesso della terra, presenza stanziale compresa. Ne conseguirono la privatizzazione delle terre e la nascita delle aziende agricolo-borghese e contadine: fenomeni che porteranno, nella seconda metà del secolo, alla lotta per il potere locale cittadino.

IL BRIGANTAGGIO

Gli eventi del primo decennio dell'Ottocento, che tanto segnarono il destino del Regno di Napoli, naturalmente fecero sentire ulteriori ripercussioni pure sul centro abitato di Rotondella che soffrì anche a causa della sua posizione geografica, in quanto il bosco di Policoro offriva un buon rifugio ai briganti, sia isolati che in gruppo. La notte del 30 agosto 1807 è tristemente ricordata per essere stata testimone di saccheggi, stupri e violenze di ogni genere da parte della banda di don Nicola Pagnotta che fece irruzione nel paese. Allo scopo di difendersi da altre eventuali scorrerie furono in seguito chiusi i vicoli che davano nelle campagne, utilizzando come mura di cinta del paese i muri esterni delle case periferiche. Per entrare nell'abitato furono lasciate aperte solo quattro porte vigilate, da chiudere la sera. In quel periodo, il malessere sociale in cui viveva il paese probabilmente fu la causa principale della notevole adesione al brigantaggio da parte degli abitanti di Rotondella.

Dopo il 1811, il brigantaggio fu debellato ad opera della spietata azione del Generale Carlo Antonio Manhés, i cui provvedimenti incisero non poco sulla vita economica di Rotondella, che per circa un anno fu inabitabile e quasi deserta. La popolazione sopportò i sacrifici con tenacia e, già nel 1812, la tranquillità pubblica fu ristabilita e le spese militari ridotte a metà. Comunque, per il paese il decennio di dominazione francese non può essere considerato solo negativamente.

Con un decreto del 1806 si crearono le Province, a loro volta divise in Distretti e Governi, detti poi Circondari: Rotondella fu assegnata al Distretto di Lagonegro, uno dei quattro della Basilicata, e divenne capoluogo del circondario comprendente Rocca Imperiale, Favale, Colobraro e Tursi. Nel 1807, a seguito delle leggi napoleoniche riguardanti la soppressione dei conventi, era stato chiuso anche il Convento francescano di S. Antonio da Padova; riaperto nel 1817 con il ritorno dei Borboni nel Regno di Napoli, fu definitivamente soppresso intorno al 1866. Divenire capoluogo portò al mutamento di diversi aspetti della vita cittadina: in quanto sede della giustizia e delle carceri, l'ex convento venne trasformato in sede delle locali prigioni; sul piano occupazionale, si assistette alla creazione di nuovi posti di impiego; l'arrivo dei giudici recò l'innalzarsi del livello culturale (quelli di nomina regia erano molto più preparati di quelli di nomina baronale); sul piano politico, la legge eversiva della feudalità emanata il 2 agosto 1806 dichiarò abolita la feudalità, per cui tutte le giurisdizioni baronali passarono allo Stato e vennero abolite le prestazioni personali che i possessori dei feudi percepivano a qualsiasi titolo dalle popolazioni e dai singoli cittadini.

Per la grave crisi economica, aggravata dal malcontento suscitato dalle misure punitive usate da Ferdinando IV, tanto le finanze dello Stato, quanto quelle delle singole Università erano in dissesto e le campagne agitate. Vennero mandati i visitatori economici per riorganizzare il sistema tributario, ma questo non migliorò certo le condizioni di vita della povera gente.

LA CRISI ECONOMICA E LA LEGGE DELL'EVERSIONE DELLA FEUDALITÀ

A trarre giovamento da questa situazione furono i Francesi, che con Gioacchino Murat ottennero la citata legge dell'eversione della feudalità. Era del 1806 il decreto che stabiliva le nuove imposte fondiaria e d'industria. Anche a Rotondella si deve formare il catasto su basi nuove: il compito viene assegnato a Giuseppe Mele, ma l'assalto dei briganti nel 1807 incendiò la sua casa bruciando anche le carte della fondiaria. Risolvere il problema della tassazione non risultò cosa semplice da farsi. Il Governo Francese voleva favorire il nascere e lo stabilizzarsi di una piccola borghesia di proprietari proteggendo i coloni: ma, ciò implicava scarso interesse per la classe bracciantile, che era comunque la più numerosa. Per questo, nel 1809 ci si vide costretti a ricorrere a dazi e gabelle per provvedere al pagamento dei pesi fiscali. Vennero fissate le nuove imposte: sulle farine, sulla carne, sul vino (che però non grava sui poveri, per i quali il vino costituiva un genere voluttuario e proibito). La più odiosa fu la tassa sul macinato che colpiva i più miseri. Tra le nuove spese ci fu anche il compenso ai medici per l'assistenza ai poveri.

Nel 1811, molti cittadini disperati lasciarono il centro abitato. Intanto, nello stesso anno, il Governo Francese aveva dato il via alla stesura di quella ponderosa relazione che fu la Statistica del Regno di Napoli, detta anche Statistica Murattiana in quanto voluta da Gioacchino Murat.

Per quanto riguarda la Basilicata, è questa una delle relazioni più complete, ricca di notizie dettagliate sullo Stato fisico, Sussistenza e Conservazione della popolazione, Caccia, Pesca, Economia rurale, Manifatture: e quindi, testimonia in modo esaustivo anche l'entità e la qualità di vita degli abitanti di Rotondella e del suo territorio. Nel 1814 il Sindaco Francesco Antonio Manolio interruppe il mandato per incapacità a governare gli affari pubblici. Con le sentenze della Commissione Feudale molti massari ampliarono il perimetro delle loro colonie ed alcuni braccianti si appropriarono di terre incolte e le dissodarono. La coltivazione del cotone, una volta risolto il problema del canale d'irrigazione, riprese ad essere un prodotto utile anche ai fini del commercio: si esercitava così l'industria casalinga della tessitura e quanto superava il fabbisogno interno veniva venduto fuori.

Se la caduta di Murat non aveva suscitato la paura che potesse ritornare l'oppressione baronale, con l'annullamento delle sentenze delle Commissioni Feudali la situazione politica di Rotondella non fece comunque grandi passi in avanti. La discordia cittadina ed il disagio economico continuavano a crescere, sempre alimentati dai soliti partiti: contro gli Albisinni, oltre ai loro antichi avversari, nel 1814 troviamo anche il trio Fortunato-Mele-Ricciardulli. In questi stessi anni anche l'economia era in difficoltà: a causa della crisi del commercio, il prezzo del cotone era calato insieme a quello del grano. Dal luglio 1816 si aggiunse anche una grande epidemia che mieté molte vittime, specie nell'anno seguente.

LA CARBONERIA

Il 13 luglio 1820, in seguito al moto popolare, Ferdinando I concesse la Costituzione e Rotondella divenne luogo di un'accesa lotta politica, che culminò nell'assedio a Palazzo Albisinni il 26 settembre dello stesso anno. Quando l'esercito austriaco entrò in Napoli, in seguito al fallimento del moto politico, il Sindaco Rondinelli riprese le sue funzioni e con queste i suoi piccoli affari a sfavore dei cittadini di Rotondella. Rotondella non era più un paese di soli coloni, abituati a coltivare i loro pezzettino di terra, ma era ormai un centro di massari veri, di un buon ceto borghese e di braccianti ai quali spesso mancava lavoro e, quindi, il necessario per la vita della famiglia.

Oltre alla setta dei Calderari, negli anni 1816-17 anche la Carboneria trovò numerosi adepti in Rotondella e saranno i figli di questi personaggi a rappresentare una novità: nati nel decennio francese e nella prima restaurazione, cresceranno con una mentalità nuova, una maggiore preparazione culturale e un'accresciuta attenzione ai problemi politici. Infatti, saranno gli eroi delle vicende del 1848 proprio coloro che avevano frequentato gli studi universitari a Napoli.

Dal punto di vista economico, quelli furono anni molto difficili per Rotondella. Nel 1844 la carestia e la miseria fecero da sfondo allo sforzo economico richiesto per proseguire i lavori del Camposanto. La massa dei bisognosi cresceva, per mancanza di mezzi i lavori pubblici erano sempre troppo pochi, si lamentava addirittura qualche caso di morte per inedia.

Questa situazione fece sì che a Rotondella ci fosse un'attiva partecipazione politica: non solo da parte dei gruppi di media e piccola borghesia, ormai sufficientemente solidi e attivi, ma anche delle masse popolari, spinte dal malessere e dalla miseria. Quando, il 29 gennaio 1848, Ferdinando II annunziò la nuova Costituzione ci fu grande fermento tra i liberali, che trovarono una guida e un incitamento in Girolamo Fauchier, Giudice Regio a Rotondella in quell'anno. Si assistette, così, alla crescita di una nuova consapevolezza politica, non più legata ad interessi particolari ma maggiormente tesa al collettivo. Nel paese risultarono essere in numero considerevole gli iscritti alla Giovane Italia e ad altri movimenti e sette di varia ispirazione.

Con il susseguirsi delle diverse vicende, molte furono le divergenze di idee e nel territorio intorno a Rotondella molti furono i perseguitati a causa del loro pensiero politico. Sempre nel 1848, un certo Vincenzo Amati con numerose personali iniziative giunse perfino a proclamare in paese la Repubblica. In questi anni, si può ben dire che anche a Rotondella, sulla base della speranza di un futuro migliore e più prospero, avvenne il definitivo distacco di tutti i cosiddetti liberali dalla Monarchia Borbonica. Naturalmente, i diversi e complicati intrighi non valsero a salvare da una profonda crisi il paese che, alla vigilia dell'Unità d'Italia, si presentava ancora una volta permeato dai grandi contrasti tra le famiglie più notabili ed il resto della popolazione, sulla quale ricadeva in proporzione il maggior peso delle imposte.

Un antico borgo, urbanisticamente sviluppatosi nel corso dei suoi 500 anni circa di storia, sospeso tra la frenetica pianura Metapontina e le silenziose alture disposte a segnare il confine tra Calabria e Basilicata, anticamera del Parco del Pollino ed antico luogo di incontro e di scambi tra le popolazioni lungo le secolari vie di comunicazione. Un territorio, quello rotondellese, di oltre 7.500 ettari, che si allunga dall'area di Monte Coppola, zona di enorme interesse archeologico dove molti studiosi e ricercatori ritengono fosse ubicata la città di Lagaria fino alle rive dello Jonio, delimitato dal tratto terminale del bianco alveo del fiume Sinni (navigabile sino al XVII secolo).Nell'area di Piano Sollazzo sono venuti alla luce i resti di un villaggio risalente alla Media Età del Bronzo (1.500 a.C.). La sottostante piana della Trisaia, con i suoi villaggi, con le sue fattorie, con gli ampi magazzini per lo stoccaggio dei prodotti, ha condiviso il destino di Siris e della romana Heraclea. Testimonianze a noi più vicine giungono dal Medio-Evo.

Fonti archivistiche e bibliografiche documentano l'esistenza dei villaggi di Rotunda Maris e di Trisaia (Terra dei Tre Santi) scomparsi intorno al XV secolo, del Monastero Basiliano di Santa Maria delle Lauree e delle chiese di S.Pietro e S.Andrea Apostolo. Di quel lontano periodo soppravvivono ancora oggi gli antichi toponimi. L'odierna Rotondella ha origini più recenti che collocano l'edificazione sul colle Limpidina del suo nucleo originario (Palazzo baronale, Torre di avvistamento, magazzini e qualche piccola abitazione) tra il 1510 ed 1520. La costruzione fu voluta dalla famiglia Sanseverino. Da allora, la crescita urbanistica è stata lenta e graduale, ed è terminata soltanto recentemente. Vi dimoravano braccianti e gestori del feudo di Rotondella, e per brevi periodi commercianti di bambagia coltivata nella zona di Caramola, lungo il Sinni. Nel Decennio francese, quando vennero ridisegnati i nuovi assetti territoriali, Rotondella divenne sede di Circondario e successivamente di Mandamento (dopo il 1860) con la presenza di vari ed importanti uffici interterritoriali. Ciò ne fece il centro di riferimento per i Comuni vicini. Alla seconda metà del Settecento risalgono gli ampi ed ariosi palazzi gentilizi con portali e mascheroni in pietra lavorata, ad evocare un sapore vagamente barocco. Di notevole pregio architettonico ed artistico anche le chiese oltre ad alcuni casali presenti nell'agro rotondellese.

L'azione di bonifica della Piana Metapontina, lo sviluppo dei nuovi centri di Policoro e Nova Siri, l'emigrazione verso le aree industriali del Paese, ed una migliorata vivibilità raggiunta nelle campagne nell'ultimo ventennio, sono i fattori che hanno portato ad un lento abbandono del centro storico.

LE INVASIONI BARBARICHE

L'agricoltura rotondellese, concentrata nelle aree irrigue di Trisaia e Caramola ha subito nell'ultimo ventennio sostanziali mutamenti passando dalle colture tradizionali a quelle ortofrutticole (arance, clementine, pesche, kiwi, fragole,) che trovano una ottima collocazione sui mercati italiani ed europei.

Particolarmente apprezzata la produzione di albicocche integrate destinata alle linee dietetiche e prima infanzia di importanti aziende ed al mercato del fresco. Sempre in Trisaia, si sta sviluppando il nuovo abitato di Rotondella Due oltre ad alcuni insediamenti artigianali, mentre sono state avviate azioni di recupero delle abitazioni del centro storico (servito da una rete di distribuzione di metano) anche per creare un'offerta turistica che molti iniziano già ad apprezzare. Altre iniziative di valorizzazione interessano l'area marina di Lido Rivolta, dove sono state realizzate da tempo le infrastrutture primarie e quella di Bosco Finocchio/Monte Coppola, un'autentica risorsa per le valenze archeologiche, floro-faunistiche e paesaggistiche.

La progressiva netta affermazione della presenza dei Bizantini nei paesi dell'antica Lucania portò alla formazione di numerose chiese vescovili e coincise con una discreta ripresa economica e con l'espansione di comunità monastiche di rito greco e Benedettine. Sorsero così vari monasteri (ad es.: Sant'Elia, Sant'Anastasio in Carbone, Santa Maria del Saggittario dei monaci Cistercensi) che divennero punti di riferimento e di promozione sociale e spirituale, incrementando anche le opere di bonifica e di coltura dei territori compresi fra la piana Metapontina e la Valle del Sinni. Alla fine del IX secolo, la paura per le violente incursioni dei Saraceni portò ad un radicale rinnovamento del Meridione, coll'avvento dall'esterno di eserciti e coalizioni fino a quel momento ritenute impossibili. Fra il IX ed il X secolo le terre della Valle del Sinni vennero spopolate da una serie di eventi luttuosi quali guerre, carestie ed ancor più la peste, per tornare ad essere nuovamente abitate dalle genti greche dalle quali ebbero origine molti comuni della Basilicata. Intanto, col decadere di Eraclea, l'antica Pandosia probabilmente era ridiventata il centro più eminente della zona e, con alterne vicende ed il nuovo nome di Anglona, continuò a dominare l'intero territorio anche in epoca normanna (XI-XII sec.).